SEDUZIONI METAFISICHE
Atmosfere indefinite nella pura sospensione dell’illusione, inganni sull’impressione del tempo presente e passato, sguardi che sezionano e scompongono gli oggetti in frammenti sostanziali di un collage da riordinare nell’immaginario e nell’immagine del quadro, sono le seduzioni metafisiche di Giovanni Greco, in esse la voluttà del pensiero traccia sensazioni intense trafitte dallo spasmo dell’infinito.
La profonda esistenza che anima il significato delle cose corrode, all’interno dell’opera, il senso dell’apparenza, una verità latente capace di influire sulla percezione del mistero, dell’esistere, del primordiale nell’eco dell’immenso. Forse spazio interiore, forse luogo ignoto, forse solo il pulsare di un presagio. Greco lo esplora, ma il suo tocco non sfiora il puro sentimento estetico della visione quanto il dubbio che l’avvolge, territorio scosceso e irto di inquietudini capaci di riflettere la sensibilità celata all’interno degli oggetti, materia fisica, nella quale scorre l’essenza vitale
Greco pittore di enigmi ed enigmi interpretati da Greco con squisita abilità. Nell’esattezza di figure ed elementi, le incertezze e il timore dell’ignoto, appaiano come entità immobili su tela. Sono composizioni misurate e ferme nelle quali vivono emozioni istintive e gravemente remote e dove l’impossibilità di decifrare i contenuti incatena la logica negli accordi di trame impenetrabili, ci troviamo sul limite della ragione. Lontane memorie riaffiorano da queste interstizi portando con se il suono della persistenza e la voce della perdita.
E’ un senso di sospensione che fa parte della natura dell’uomo e che ora si mostra come lucida consapevolezza, come limite insuperabile per approssimarsi alla verità, quella forse racchiusa nell’interiorità metafisica di Greco.
All’insorgere dalla coscienza, figure oscurate, ancora chiuse in una forma che evoca un’idea narrativa e nostalgica, scompaiono dallo strato della tela e abbandonano la scena resa pesante della materia corposa, mentre pennellate cariche di sostanza cromatica e accentate da improvvisi acuti di solipsismo straripante nell’io, si asciugano fino a diventare esile pellicola pittorica.
La conoscenza esplora, la coscienza retrocede sullo sfondo dei dipinti, su di essi si fissano e si cristallizzano i segni dell’alfabeto metafisico, un alfabeto di pochi elementi, che nonostante si ripetano nella composizione, variano non appena l’ispirazione del tema si è consumata lasciando dietro di sé le tracce della consunzione con l’invisibile. Semplici slittamenti di piani, sottili evocazioni atmosferiche, rimandi e rispecchiamenti sui quali si modella la pura trasposizione di forme e sensazioni.
Rivelazioni imprevedibili portano verso nuove aperture, impulsi, senza stridori e disarmonie di stili, trasmettono, ora più che mai, quel senso di sorpresa e turbamento atto ad annunciare la nascita dell’opera d’arte. Greco ne accarezza la seduzione in curve che si lasciano percorrere con la punta del pennello, un pennello bagnato di intimi respiri provenienti dal passato. Lontana risonanza di quel mondo classico che è ancora possibile recuperare tra le rive mediterranee lambite da una percezione ridiventata pittura tra i frammenti filosofici e il sapere dei secoli. “Una filosofia metafisica” traslata nel rigore architettonico della composizione, adesso il colore sembra abbandonare l’aspetto descrittivo delle cose per concentrarsi sulla solida rappresentazione, mentre la struttura si delinea sempre più chiaramente fin quando “inquadra” il luogo dell’estetica metafisica.
Nella cornice di portici e arcate le figure indietreggiano come se volessero lasciar fluire lo scambio dei pensieri, come se la scenografia volesse migrare in uno spazio vuoto delineato da orizzonti indefiniti. E dinanzi ai nostri occhi, la realtà si inabissa nel silenzio, accentuando il distacco con il presente, l’assenza riempie l’ambiente e il momento scandisce l’eterno. Il gioco dei rimandi continua, Greco trascina architetture e oggetti dalla realtà esteriore alla realtà del dipinto. Una trasposizione mentale dal non – senso, al senso ritrovato nella seduzione filosofica di Nietzsche e Schopenhauer, ragionamenti elaborati nella forza evocatrice della visione pittorica. Confluenze di segni e significati che, se da un lato semplificano il senso dell’opera, dall’altro rimangono ermetici, impenetrabili, ciò che invece affiora, come una leggera patina di poesia, è lo spirito del luogo, la sensibilità di un’antica cultura mediterranea, le verità arcaiche e l’infinite fragilità dell’intelletto umano.
Possibili astrazioni convertiti nel segno più profondo della pittura metafisica. Greco elabora, quindi, realtà reali e suggestioni che passano attraverso i ricordi sbiaditi; su queste stesse memorie, diventate ora superfici, incide gli oggetti sottratti al mondo esterno, depositari, nella loro enigmatica essenza, di una coscienza intima, esclusiva e personale.
Nell’architettura visiva di Greco la quotidiana riflessione sull’esistenza s’incastona negli elementi della classicità, segni duraturi di un codice che non tramonta e che avvolge l’essenza dell’enigma. Sapere sospeso nei sogni, frammento trasparente, mistero estatico espresso nella chiarezza dalle larghe campiture e nella precisione lineare dei contorni. La natura, di conseguenza, bloccata nei suoi profili risoluti, appare con una gravità fino ad allora sconosciuta, mentre la percezione coglie l’espressione di nuovi possibili accordi, oltre la pellicola dell’illusione eterna.
Le immagini continuano a riflettere cose appartenenti a cadenze temporali diverse, quasi come se volessero scandire una nuova fase del passaggio interiore verso un più alto grado di consapevolezza e rinascere dalla luce melanconica dei paesaggi mediterranei intrisi dei suoni del rimpianto. Una luce filtrata da un occhio capace di scrutare le sensazioni più oscure per perforarne lo strato di reminiscenza che dona forma al tempo. Le sequenze delle strutture architettoniche, appaiono scomposte, allentano la scansione ritmica e spingono in avanti gli elementi del nuovo canto. Nel loro significato interiore la scoperta di un mondo inesplorato e sconosciuto sul quale si fonda la seduzione metafisica. La pennellata di Greco diventa più espressiva e più sapiente, la profondità abita la superficie, il fondo avanza e lo spazio provoca la sensazione della vertigine, spasmo sull’orlo dell’abisso. Dimensioni, anzi spazi dell’eternità e dell’infinito in soluzioni figurative e sensazioni architettoniche.
In Greco la passione incontra il silenzio sacrale dell’immobilità congelata in un’attesa sospesa nel trapasso del tempo, in questa situazione di lancinante lucidità introspettiva il suo occhio è rivolto verso l’interno e lo sguardo solo in apparenza sfiora l’esterno.
Sulla tela lentamente si anima l’attimo luminoso, gli elementi, disposti con rigore geometrico, diventano lo schermo riflesso delle tempeste che agitano il cuore dell’universo, ma Greco li fissa nella verità assoluta, nell’ordine armonico, nella trascendenza del senso e ciò che rimane è la tensione della costruzione stessa protesa verso la volta enigmatica. Quasi una solitudine della propria coscienza, eletta a “signora” dell’immagine, visione, forma, solipsismo. La ragione si allontana, la volontà si condensa, la pittura si redime nelle seduzioni metafisiche di Giovanni Greco.
di Antonella Iozzo © Produzione riservata
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LIMITI
Ed è così che valicato il confine fra esterno ed interno le prospettive si sfalsano restituendo il mondo così com'è, ovvero, senza limiti.
La spoporzione magica del sogno, con le sue analogie e pervasive simmetrie, con i suoi differimenti e intempestività, assume il carattere di un'aberrazione fisica, un rapporto fra significati viene tradotto in un
rapporto di forze, un'incongruenza di tempi e luoghi in un'ossessiva purezza visionaria.
Rocco Giudice, Agosto 1994
ModificareRAGIONE E SPIRITO
Une évocation du génie humain et de ses facultés à créer. L'artiste dépeint l'engrenage qui assigne l'homme en tant que philosophe ou mathématicien en décrivant des scènes propres à exprimer la méthodologie de la création en tant que recherche de sa fonction dans l'univers. Giovanni Greco situe l'homme dans sa quête de la vérité, le confrontant à ses découvertes. Ses scènes évoquent des métaphores de la nature humaine lorsqu'elle est confronté à ses interrogations et ses connaissances et sa capacité à organiser et comprendre le monde qui l'entoure. Utilisant les symboles et les allégories de manière à transcrire subtilement le sens qu'il souhaite exprimer, l'artiste s'engage avec complexité dans un langage érudit et tente de nous révéler l'importance du passé et de l'histoire. Son oeuvre décèle une remarquable acuité et s'établie sur les bases existantes de la philosophie et de la science. Décrivant ainsi ses pensées dans une architecture bien élaborée, il décrit des objets et des personnages dans une combinaison orchestrée de manière à expliquer la conséquence des interactions. Giovanni Greco nous propose un voyage savant dans lequel l'on est confronté à l'intelligence humaine et à son désir de s'élever. Inclinant ses sujets aux diverses explications du raisonnement humain, l'artiste engage son style dans l'espace et l'architecture et bâtit de manière ésotérique la composante finale. Le résultat apparaît dans une visualisation presque onirique mais suspendu étroitement à la logique de l'esprit et de la raison. Giovanni Greco recherche une explication de la création humaine et tente de nous convaincre que la quête de l’homme vers la vérité est un bien précieux.
Antoine CARLIER MONTANARI
ModificareSEGNI OLTRE UNO SPAZIO VISIBILE
… Du metal, du marbre et de l'eau. // (…) de bassins et de cascades // (…) Des nappes d'eau s'épanchaient, bleues, // Entre des quais roses et verts…
Charles Baudelaire, Rêve parisien.
Non si potrebbe comprendere a fondo la specificità e la complessità della pittura di Giovanni Greco nella sua declinazione astrattista prescindendo totalmente dalla sua prima e mai rinnegata fase figurativa. Nelle opere di quel periodo, scorci metafisici, con screziature ironiche e inquietanti magrittiane, incrociavano orizzonti onirici – non estranei all'esperienza che trovò in Franco Piruca, Nino Panarello e Alberto Abate, conterranei e concittadini di Giovanni Greco, alla testa del ritorno al figurativo –, crepuscolari quanto ostinatamente refrattari a rientrare nei ranghi dell'interpretazione che li riscatti dall'arbitrio che li colloca fuori dal contesto reale, restii fino all'ultimo a rispettare le consegne dell'esperienza ratificata. Paesaggi di nuvole ancorate dentro nicchie come minuscole navi in bottiglia o bottiglie con nessun altro messaggio che l'essere state modellate da onde celesti e correnti aeree; o i ritratti e autoritratti di fronte, di profilo e di tre quarti, in cui l'attitudine prevale sulla fisionomia – del resto, puntualmente definita –, dove la posa conta più dell'espressione, come se volti ovvero personae fossero lì per uscire dall'immagine puntando verso un luogo che non costringa a esporsi, per scantonare verso un mondo che non obblighi a esserci come cosa vista fra le altre, ma fonte della visione che trova il suo luogo naturale nella pittura.
Sembra quasi che paesaggi fuggiti da storia o mito o terra del sogno senza riuscire a trovare rifugio o tregua, con eroi sviliti, manichini eroicamente mutili, ruderi perfettamente conservati, enigmi più incerti di coloro che volessero sfidarli, quel mondo lo abbiano trovato in una dimensione cui è impossibile sottrarsi. Da qui, i segni, i grafismi che, guardiani di un mondo inaccessibile quanto l'altro, che sembra aperto e percorribile da sensi e ragione, sono slegati da ogni ufficio simbolico, svincolati dall'assolvere al valore commesso a un codice semiotico di base, per assumervi connotazioni proprie, di depistanti indici di lettura, di orientamento spaziale laddove il teatro onirico non coincide con lo spazio fisico:
direttrici di marcia diasporiche, semmai, che non stabiliscono l'ordine di una sequenza ottica, quasi dovessero servire a incanalare in una direzione obbligata lo sguardo, quanto siglano una sorta di condensazione o attenuazione della tensione o pressione materica, cromatica o di effetto di senso. Il segno, le linee, i riferimenti stilizzati a particolari riconoscibili ma in via di decantazione – un arco, una freccia del tempo, triangoli dischiusi come vele al vento, fluttuanti e rarefatte semisfere astrali –, residui chissà se regrediti o proiettati ad archetipi allo stato puro, sono parte dello stesso processo che fissa la scena definita in parti e partiture scandendola come percorso visivo, essendo dati con e nella visione cui concorrono.
È in questo senso che le opere di Giovanni Greco, senza che nulla rinvii a un referente reale o ideale/simbolico, nulla a che vedere con un iconismo geometrizzante o con una mimesi astratta degli impulsi e variazioni che registra, assumono la stessa consistenza di una riproduzione sur le motif: tanto, non per sminuire o contraddire il carattere 'visionario' e del resto, la meditata costruzione dei lavori di Giovanni Greco, ma per sottolineare come l'adesione a un modello vale anche quando esso è compreso e indistinguibile dall'atto che lo determina. Il colore è steso, in genere, in modo uniforme, pur senza
dar luogo a campiture à plat, ma, frastagliato e con punte di maggiore effervescenza; i cromatismi sono nitidi nel sovrapporsi o accostarsi senza sfumature né dissolvenze che smorzino i contrasti;
questi vi assumono un rilievo che allude a un autonomo, sia pure ritrovato o perduto, spessore plastico, a una potenziale o immanente corposità o specifica volumetria del colore, in cui la brillantezza, il timbro, la compattezza non derivano dalla luce che riettono, ma sono di una qualità che vi sussiste di volta in volta in un rapporto di forze naturali quali vediamo dare forma a un passaggio – terrestre o atmosferico, ctonio o psichico. Il colore è assunto, dunque, nella sua valenza linguistica: ciò che vale anche per i segni, che vi sono ammessi a costituire un alfabeto senza un codice – solo qualche
reminiscenza di Kandinskij, Mondrian, Klee, Klimt – che garantisca una forma, che rispecchi un'idea o rintracci e documenti
un'emozione: e invece, come il colore, si inseriscono nel tracciato, nel diagramma delle tensioni, rapidità, cadenza cui va incontro il gesto mentre esplora lo spazio interiore e la superficie da dipingere, senza assimilarle, senza commutarle, ma cercandovi un punto d'accesso o di contatto.
In questo processo di connotazione al di là ogni accezione mimetica o iconica prescritta, il supporto non è una semplice supercie da riempire o uno schermo su cui proiettare immagini di un mondo interiore in cerca di visibilità o di un mondo reale da rappresentare nei suoi riflessi soggettivi, filtrati per rielaborarli in interazione con le sollecitazioni più varie: il supporto è elemento strutturale e consustanziale all'opera, fattore dinamico che reagisce e provoca risposte, metabolizza o resiste al colore, con una capacità propria di assorbire o subire la pressione espressa dalla materia del colore, dalla sua densità, dal suo grado di conduttività luminosa. In una parola, anche il supporto – nel caso e in modo particolare nelle prove più recenti di Giovanni Greco, il cartone – è un segno e una componente della complessiva messa in opera. E il cartone, così come la tela, quali fattori linguistici hanno da dire la loro, se ne si ascolta l'"opinione": trovano un posto nell'articolazione della texture, conferiscono un accento all'inflessione cromatica, contrastano o trattengono, aderiscono o accompagnano il gesto, registrano chirograficamente o contribuiscono alla stesura, affidata a pennello, spatola, all'aerografo, di vernici o colori a olio. Il cartone, soprattutto, sostrato che intercetta linee di forza, fa emergere le tensioni del profondo: e come le griglie di Klee, le scanalature orizzontali contrassegnano ritmicamente, contrappuntano le aree più o meno fittamente colorate e i segni che Giovanni Greco vi sovrappone, tatuaggi o cicatrici innestate alla trama sottostante.
Così, trasfigurazione, astrazione, informale e àgone con materiali, forme e metafore, la pittura di Giovanni Greco ci si rivela come l'esito di un'esperienza artistica che non si lascia racchiudere in schemi scontati: e dove ciò di cui si compone deve tutto a un controllo, a un attento scrutinio di ipotesi di lavoro, possibili soluzioni e concrete modalità operative in cui tecnica e sensibilità, intuizione e riflessione, analisi e visione non solo si bilanciano, ma si fondono.
Rocco Giudice